Gestire il conflitto nelle organizzazioni: una riflessione personale (e scomoda)

10/26/2024
Gestire il conflitto nelle organizzazioni

Come evitare di dire le solite cose e le solite banalità sul conflitto? Che è un’opportunità, ok, lo sappiamo tutti. Che porta sfide e disagi, certo, anche questo è chiaro. Ma è e resta una delle più grandi difficoltà umane nella gestione delle relazioni.

Io per prima mi trovo costantemente a fronteggiare sfide in questo senso. Nonostante anni di lavoro interiore e studio, il conflitto continua a stimolarmi, a mostrarmi qualcosa di nuovo, a darmi filo da torcere. E allora mi chiedo: cos’è che non abbiamo ancora capito sul conflitto? Abbiamo teorie, studi, analisi sugli stili di reazione (“fly, freeze, fight”). Ma qual è la chiave di volta?

Aspetti sulla gestione del conflitto nelle organizzazioni

Avendo lavorato per anni nel settore pubblico e seguito numerose organizzazioni private e pubbliche, una cosa l’ho notata: nonostante i corsi che abbondano, è difficilissimo mantenere la memoria degli apprendimenti e portare effetti duraturi. Il punto, credo, è che, soprattutto in contesti organizzativi, manca un vero approfondimento delle dinamiche interiori. C’è poca introspezione autentica, difficoltà a guardarsi davvero dentro e a farlo di fronte a un gruppo di persone. Perché, diciamolo chiaramente, nel nostro sistema educativo e relazionale, non va bene se le debolezze trapelano e la paura è di non ricevere rispetto per ciò che si porta. E qui sorge il dilemma: come possiamo aspettarci cambiamenti reali se le persone non si sentono sicure di esprimersi?

Questa è l’altra grande sfida che richiede di generare fiducia e il tempo necessario per costruire qualcosa di autentico. E ammettiamolo: un workshop di tre ore non basta. Al massimo può introdurre il tema, portare qualche esercizio che ispira riflessioni nuove nel momento. Perché attecchisca effettivamente, serve un processo strutturato, che duri nel tempo, che scardini resistenze individuali e di gruppo, e che si radichi oltre la mente razionale che sa che “queste cose sono importanti”, ma che da sola non ce la fa.

E qui c’è un punto cruciale che non si può ignorare: nessun esperto, facilitatore o formatore può fare nulla se non c’è volontà e curiosità personale, se non c’è uno spazio sicuro in cui esprimersi. Serve, certo, il coraggio di mettersi in gioco, di affrontare le proprie resistenze, ma anche rispetto delle proprie paure e traumi. Non è una condizione facile, ma è fondamentale per lavorare con onestà su sé stessi. Diverso è rimanere sul superficiale per evitare di guardarsi dentro: è una scelta da rispettare, certo, ma non è efficace.

Parlo con piena consapevolezza, sapendo bene che potrei risultare scomoda o persino disturbante. Ma l’esperienza, con me stessa e con chi ho accompagnato, mi ha insegnato una verità ineludibile: senza un impegno autentico, il lavoro sul conflitto è destinato a rimanere un esercizio sterile, incapace di generare un cambiamento reale.

Ecco perché insisto sempre sull’importanza del commitment, quella volontà genuina di mettersi in gioco, prima ancora di programmare o progettare un corso. Senza questa base, ogni sforzo rischia di tradursi in uno spreco di tempo e risorse.

Proposte per un percorso autentico nelle organizzazioni

Un programma strutturato non è una semplice sequenza di incontri, ma un viaggio che accompagna le persone nel riconoscere e trasformare schemi interiori profondi. Questo tipo di percorso mira non solo a lavorare sulle dinamiche individuali, ma anche a costruire relazioni autentiche e consapevoli all’interno del gruppo, affrontando insieme conflitti e sfide comuni.

  • Radicare il cambiamento oltre la superficie: Invece di limitarsi a gestire i sintomi del conflitto, un lavoro lungo permette di andare in profondità. Si passa dall’analisi delle dinamiche di potere e rango all’esplorazione dei sistemi di credenze che condizionano i comportamenti.
  • Un percorso collettivo: le persone non solo lavorano su se stesse, ma imparano anche a gestire e migliorare le relazioni con gli altri membri del gruppo. Questo aspetto è cruciale: il lavoro collettivo non si limita alla crescita individuale, ma si concentra anche sulla capacità di collaborare, affrontare conflitti e costruire connessioni autentiche.
  • Costruire consapevolezza interiore: Le persone imparano a identificare i propri meccanismi reattivi (“fuggi, ti congeli, combatti”) e a rispondere ai conflitti in modo più consapevole e autentico. Questo è un passaggio fondamentale per migliorare la qualità delle relazioni.
  • Impatto sul gruppo: Quando i singoli membri lavorano su di sé, l’intero sistema organizzativo ne beneficia. Si creano relazioni più autentiche, si abbassano le tensioni e aumenta la capacità di collaborare verso obiettivi comuni.
  • Memoria e continuità: Un percorso lungo favorisce l’integrazione delle competenze apprese, evitando che si disperdano dopo il termine del corso.

Un altro tema fondamentale riguarda la leadership. Il committente, spesso nella posizione di leader, deve essere disposto a mettersi in gioco, sviluppando una maggiore consapevolezza del proprio rango e potere. Questo è essenziale per creare un ambiente in cui i collaboratori si sentano liberi di esprimere le loro problematiche senza timore di ripercussioni.

Infine, un elemento chiave è la creazione di uno spazio sicuro per le persone, dove vulnerabilità e difficoltà possano essere affrontate in modo costruttivo, favorendo un clima di fiducia e crescita reciproca.

Modalità di lavoro

Un programma efficace per affrontare il conflitto e favorire introspezione dovrebbe a mio avviso includere diverse fasi e strumenti:

Diagnosi iniziale: Un’analisi approfondita delle dinamiche esistenti nel gruppo e nei singoli. Questa fase permette di comprendere il punto di partenza e identificare le aree di lavoro prioritario.

Lavoro sui ruoli: Separare il ruolo dalla persona è essenziale. Attraverso esercizi esperienziali, i partecipanti imparano a vedere il conflitto non come una minaccia personale, ma come un fenomeno legato a ruoli e dinamiche sistemiche. È utile esplorare anche i “ruoli fantasma”, ovvero quelli non esplicitamente assegnati ma che influenzano il funzionamento del gruppo.

Accettare il conflitto e la vulnerabilità: Questo passo, tanto sfidante quanto essenziale, richiede di abbandonare l’idea che il conflitto sia qualcosa da evitare a tutti i costi. Si tratta di riconoscerlo come parte integrante delle relazioni e di accettare la vulnerabilità che esso porta con sé, sia a livello individuale che collettivo. Lavorare su questo aspetto aiuta a creare uno spazio di autenticità e fiducia, dove le persone possono esprimersi senza paura di giudizi o ripercussioni.

Esercizi di esplorazione interiore: Domande come “Qual è la mia posizione in questo conflitto?” o “Cosa difendo o pretendo?” aiutano a portare alla luce convinzioni inconsce e resistenze. Un ulteriore approfondimento può includere l’analisi dei propri privilegi e del proprio rango, per comprendere come questi influenzano le relazioni.

Pratica del feedback costruttivo: Lavorare sulla capacità di dare e ricevere critiche in modo costruttivo è cruciale per creare una cultura organizzativa sana e collaborativa. Questo include esercizi specifici per imparare a esprimere feedback che sia chiaro, utile e rispettoso.

Creazione di uno spazio sicuro: Un aspetto fondamentale per qualsiasi lavoro collettivo è garantire uno spazio in cui i partecipanti si sentano liberi di esprimere idee, emozioni e difficoltà senza timore di giudizi o ripercussioni. Questo richiede la costruzione intenzionale di un ambiente basato sulla fiducia e sull’ascolto reciproco.

Gestione delle dinamiche di potere: È importante affrontare le dinamiche di potere e rango che emergono all’interno del gruppo, soprattutto da parte del leader. Offrire consapevolezza e strumenti per riconoscere e bilanciare queste dinamiche permette ai membri del gruppo di sentirsi valorizzati e di partecipare in modo equo.

Fasi di follow-up: Monitorare e sostenere l’applicazione delle competenze acquisite nel tempo. Questo passaggio è fondamentale per garantire che il cambiamento sia duraturo.

Domande di autoriflessione

Un percorso di introspezione e gestione del conflitto si nutre di domande che spingono i partecipanti, sia a livello personale che collettivo, a riflettere con onestà e consapevolezza:

Personale: Quali conflitti passati non ho ancora elaborato e come stanno influenzando il mio presente?
Collettivo: Ci sono dinamiche conflittuali irrisolte nel nostro gruppo che dobbiamo affrontare per progredire?

Personale: Qual è il mio schema abituale di reazione al conflitto? Mi blocco, attacco o fuggo?
Collettivo: Quali sono gli schemi ricorrenti che noto nelle dinamiche del mio gruppo di lavoro quando emergono conflitti?

Personale: In che modo le mie convinzioni personali influenzano le mie risposte al conflitto?
Collettivo: Come le credenze e i valori condivisi nel mio team influenzano il modo in cui affrontiamo le tensioni?

Personale: Quali segnali mando (anche non intenzionalmente) che possono contribuire a creare o intensificare il conflitto?
Collettivo: Quali segnali emergono tra i membri del gruppo che possono alimentare o disinnescare le tensioni?

Personale: Come posso separare il ruolo che ricopro dalle mie emozioni personali?
Collettivo: Come possiamo, come team, distinguere i ruoli professionali dalle emozioni individuali per favorire una comunicazione più chiara e costruttiva?

Personale: Quale piccolo cambiamento posso apportare oggi per migliorare la qualità delle mie relazioni?
Collettivo: Quali azioni immediate possiamo intraprendere come gruppo per migliorare la qualità delle nostre interazioni e relazioni?

Personale: Qual è il mio contributo specifico alla coesione del gruppo? Dove posso migliorare?
Collettivo: Come possiamo collaborare per garantire che tutte le voci siano ascoltate e valorizzate?

Personale: Come mi relaziono con il potere e l’autorità nel contesto del conflitto?
Collettivo: In che modo le dinamiche di potere e rango influenzano la capacità del gruppo di affrontare il conflitto?

Personale: Sono disposto ad accettare il feedback degli altri e a rivedere il mio comportamento?
Collettivo: Come possiamo creare una cultura di feedback reciproco che favorisca la crescita del team?

Prossimi passi

Affrontare il conflitto richiede coraggio, impegno e continuità. Se sei parte di un’organizzazione, considera di proporre un programma strutturato che affronti le dinamiche interiori e collettive. Ecco alcuni suggerimenti pratici:

  • Avvia un’analisi iniziale: Coinvolgi un facilitatore esperto per esplorare le dinamiche presenti nel tuo gruppo e nei singoli membri.
  • Progetta un percorso su misura: Ogni organizzazione è unica. Costruisci un programma che risponda ai bisogni specifici della tua realtà, tenendo conto delle caratteristiche del gruppo e dei leader.
  • Coinvolgi attivamente il gruppo: Promuovi un ambiente di fiducia dove tutti si sentano liberi di partecipare e contribuire, valorizzando la diversità dei punti di vista.
  • Monitora i progressi: Introduci momenti regolari di verifica per valutare i risultati e adattare il percorso se necessario, anche con il supporto di feedback costruttivi interni al gruppo.
  • Investi nel follow-up: Assicurati che le competenze e gli apprendimenti si radichino nella cultura organizzativa attraverso pratiche continuative, come incontri periodici e sessioni di rafforzamento.

Conclusione

Il conflitto rimane quella sfida umana che, per quanto ne studiamo ogni sfaccettatura, continua a sorprenderci e a metterci alla prova. Non importa quanti manuali leggiamo o corsi seguiamo: quando arriva, il conflitto sa sempre come smascherare la nostra vulnerabilità. E diciamolo, non c’è nulla di male in questo. È proprio in quella vulnerabilità e nella sua accettazione che si trova la possibilità di un vero cambiamento.

Ma attenzione: non si tratta di trovare una soluzione preconfezionata o di aggiungere un altro corso al curriculum. Si tratta di guardarsi dentro – e non solo con la testa, ma con tutto ciò che siamo. E per farlo, ci vuole coraggio. Coraggio di guardare i propri schemi, di accettare il feedback altrui e di ammettere che, sì, a volte siamo proprio noi quelli che complicano le cose.

In un’organizzazione, questo significa anche chiedersi: siamo davvero pronti a creare uno spazio sicuro? Come leader, siamo disposti a metterci in discussione e a riconoscere il nostro rango e potere? Perché, senza questo tipo di commitment tutto il resto – corsi, programmi, incontri – è solo un esercizio sterile.

In risposta alla domanda su cosa non abbiamo ancora capito sul conflitto, nella mia prospettiva è che non c’è nulla da capire. Cercare di cogliere con la mente razionale qualcosa che è spesso più profondo, istintivo e radicato nel subconscio, rischia di essere inefficace. Il conflitto, soprattutto in un contesto collettivo come quello delle organizzazioni, richiede approcci diversi: esperienziali, sistemici e radicati nell’autenticità dell’esperienza. Queste riflessioni non aiutano a vendere corsi o seminari, ma l’etica richiede onestà e franchezza, anche a costo di essere controproducente.

Il conflitto è un’opportunità, sì, ma solo per chi ha l’intenzione e la volontà di affrontarlo davvero. E allora, la prossima volta che ci troviamo a fare i conti con tensioni o dissapori, chiediamoci: siamo pronti a uscire dalla nostra zona di comfort e a trasformare il conflitto in una risorsa? Se la risposta è sì, allora siamo già un passo avanti verso quel cambiamento autentico che tanto inseguiamo.